Apprendimenti e riflessioni dal punto di vista di una supervisionata

Le riflessioni collettive sul coaching sono ricche di articoli e interventi il cui focus è il processo di supervisione e la sua importanza per noi coach. Ciò non stupisce, in quanto rappresenta una fondamentale prassi di formazione continua che – tra i tanti benefici che offre – supporta ogni coach nel tenere fede a quanto stabilito dal Codice Etico ICF art.16 Sezione II Responsabilità verso la pratica e la performance: «Mi impegno per l’eccellenza attraverso il continuo sviluppo personale, professionale ed etico».

Questo impegno verso l’eccellenza è dunque la bussola di ogni processo di supervisione, non solo per chi la riceve, ma senza dubbio anche per chi la guida nel ruolo di supervisore/mentore, offrendo la propria esperienza per contribuire attivamente alla formazione e alla crescita dei colleghi coach. In questo articolo intendo condividere la mia esperienza come supervisionata e il ruolo che ha avuto, e tuttora ha, nel mio processo di sviluppo professionale e personale.

Non appena conclusa la prima fase di formazione presso la Scuola di Coaching di Fedro, affamata di ore ho dato inizio al mio cammino verso le credenziali ICF con entusiasmo e determinazione, percorso nel quale la supervisione rappresenta – per ovvie ragioni – una tappa imprescindibile. Ricordo perfettamente la mia prima sessione di supervisione, di cui ancora conservo preziosamente appunti, apprendimenti, pensieri ed emozioni. Un mantra in particolare da allora riecheggia in me: «creare abbondanza». E quanta ne ho raccolta solo in quella prima occasione!

Nell’impegno etico e professionale che come coach siamo chiamati a portare avanti è necessaria una profonda comprensione di sé, e della propria “mappa”. Aprirsi all’autoriflessione significa anche aprirsi alla possibilità del mettersi in discussione e non darsi mai per conclusi, finiti, born and bred. Ciò significa porsi costantemente in apprendimento, rispetto a sé e alla propria pratica professionale, e la supervisione è uno dei percorsi da intraprendere perché i vantaggi in questo senso sono numerosi e potenzialmente senza fine. Propongo in questo articolo la mia visione dei benefici legati al processo di supervisione, una lista sicuramente non esaustiva e che, ne sono convinta, non potrà che ampliarsi ulteriormente nel corso della mia crescita come persona e come coach.

Allenare la presenza: la registrazione di una sessione

I benefici della supervisione iniziano – a mio avviso – ben prima della sessione, del momento in cui ci si trova a tu per tu con il proprio mentore, e precisamente nel momento stesso in cui si avvia la registrazione e si pronunciano le canoniche frasi che garantiscono l’utilizzo della sessione di coaching ai fini della supervisione. La sfida, in particolare per chi è alle prime armi e quindi in questo caso ancora più importante da vincere, può essere quella di non farsi condizionare dalla registrazione e quindi, allenare la presenza e la capacità di stare nel qui ed ora della conversazione di coaching, a costo – diciamolo – di commettere degli errori e rinunciare all’utilizzo della sessione perché non “perfetta” o comunque non in linea con le aspettative.

Esercitare la capacità riflessiva: la trascrizione della sessione

La trascrizione di una sessione è senza dubbio un’attività che richiede tempo e possibilmente un programma/sito che faciliti il processo (otranscribe.com è un’opzione gratuita e di semplice utilizzo, che consente di inserire il minutaggio e decelerare la registrazione). Molti coach scelgono di esternalizzare il processo di trascrizione, sicuramente per valide ragioni, ma personalmente ritengo che così facendo si perdano occasioni di apprendimento. Questo perché, sulla base della mia esperienza, il processo di trascrizione di una sessione di coaching non può essere ridotto a una mera sbobinatura, che sicuramente è una parte dell’attività, ma non ne è il cuore.

L’ascolto della sessione, entrare nel flusso della trascrizione, mettere in pausa per riascoltare perché qualche parola è andata persa, stoppare sperando di sentire la domanda potente che adesso sta frullando in testa e che non ricordi se hai posto o no, sono tutti momenti che consentono alla coscienza di esercitare la sua capacità riflessiva («creare abbondanza», il mantra risuona anche qui). Significa porsi al tempo stesso come soggetto e oggetto della riflessione, condizione fondamentale per far emergere consapevolezze e apprendimenti profondi rispetto a sé e a come si interpreta il proprio ruolo di coach. Non voglio con ciò affermare che un ascolto attento e una lettura approfondita non consentano di attivare quanto detto, ma personalmente ritengo che l’impatto della trascrizione abbia un valore particolare e sia quindi da sperimentare il più possibile. Saper esercitare e coltivare questa capacità riflessiva è prerogativa di ogni coach che intende tener fede all’impegno verso l’eccellenza.

Crescere professionalmente: lo sviluppo di competenze

Il beneficio più evidente è chiaramente la crescita professionale come coach. Ogni sessione di supervisione segue fedelmente i pilastri del coaching: aumentare la consapevolezza e sviluppare il commitment.

Il punto di partenza è spesso la richiesta, da parte del mentore, di fornire una personale valutazione rispetto alla sessione condotta, e di ricevere di conseguenza un primo immediato feedback sulla capacità di autovalutarsi e di identificare con chiarezza i differenti momenti della sessione in cui sono – o non sono – state messe in campo specifiche competenze.

Il cuore della sessione è rappresentato dall’analisi approfondita di tutte le competenze richieste da un coach ICF che sono state esercitate con successo, esplicitando dunque che cosa ha funzionato, e tutte quelle espresse parzialmente o per nulla, identificando eventuali errori e “occasioni perse”, e prendendosi l’impegno di far sì che non si ripetano nelle future sessioni di coaching.

 Crescere come persona: l’aumento della conoscenza di sé

L’analisi dei comportamenti messi in atto come coach non può non toccare anche una sfera più personale, la propria “mappa” di interpretazione di sé e del mondo. Personalmente mi è capitato più di una volta di identificare, con l’aiuto prezioso della mia mentore, dei meccanismi personali (alle volte anche limitanti) che come coach non sono riuscita a lasciare fuori dalla sessione, ma che anzi ne hanno condizionato una parte. Apprendimenti di questo tipo hanno una forte risonanza a livello interiore, e possono portare a una riflessione profonda su cosa si intende modificare o scardinare, innanzi tutto a livello personale, e poi chiaramente anche come coach.

La supervisione è dunque una pratica di dialogo riflessivo con sé e con il proprio mentore, che non deve avere mai fine perché consente di porsi sempre in apertura verso l’apprendimento e quindi anche verso il cambiamento, la crescita e l’innovazione.

L’apprendere ad apprendere, competenza fondamentale per ogni individuo, prevede infatti l’allenamento di quelle capacità riflessive e metacognitive che permettono di pensare sé stessi su un terreno fatto di connessioni e relazioni. Del resto, citando Hemingway: «Siamo tutti apprendisti in un mestiere dove non si diventa mai maestri».

giulia-lipariGiulia Lipari

Trainer & Coach ACC