ICF Global Consumer Awareness Study 2022

Il coaching come acceleratore di prestazioni efficaci, leva motivazionale, well-being e fidelizzazione di figure di talento, sono concetti oramai familiari nelle aziende, sia per i vari livelli manageriali e i loro collaboratori che per gli esperti di people management. Ma, cosa accade se si esce dall’ambito organizzativo e ci rivolgiamo all’opinione pubblica, al cittadino comune?  Certamente, oggi il numero di coloro che conoscono o hanno sentito parlare del coaching è superiore a 10 anni fa. Come ci mostrano i dati dello studio ICF, “Global Consumer Awareness Study 2022”, c’è ancora molto da fare. Nonostante, alcuni eventi recenti stanno dando un nuovo impulso alla diffusione del coaching tra il grande pubblico. Mi riferisco alla pandemia e al conseguente fenomeno della great resignation. Rimanendo in Italia, anche le dichiarazioni di gratitudine di Marcel Jacobs, oro nei 100 metri alle ultime olimpiadi, nei confronti della sua mental coach, hanno contribuito ad aumentare il numero di coloro che,  in Italia, sono a conoscenza di questa professione. Eventi, role model contribuiscono a diffondere il coaching nel grande pubblico. Missione che l’International Coaching Federation https://coachingfederation.org/ persegue attivamente da 25 anni. Fin dal 2010 ci descrive qual è il livello di consapevolezza nel grande pubblico internazionale con il Global Consumer Awareness Study, ampio studio sulle percezioni e motivazioni dei clienti attuali e potenziali a livello internazionale. È stata da poco pubblicata la 4° edizione, commissionata a PricewaterhouseCoopers (PwC) su un campione di 30.727 di intervistati provenienti da 30 paesi.

Il primo dato è che la consapevolezza del coaching professionale continua a crescere. È aumentata dal 51% nel 2010 al 70% nel 2021.

Il 73% degli intervistati ha dichiarato di conoscere il coaching professionale, di cui il 28% afferma di conoscerlo bene e il 44% afferma di averne una certa conoscenza. Una buona notizia per gli addetti ai lavori.

È interessante osservare che la generazione dei Millennials abbia una maggiore conoscenza del coaching (38%) rispetto alle generazioni precedenti. Quasi la metà dei giovani millennials (47%) ha dichiarato di aver partecipato a una relazione di coaching, rispetto a poco più del 21% dei Baby Boomers. Recentemente, ne ho avuto una prova diretta. Mentre spiegavo il mio lavoro ad un amico di mio figlio diciassettenne, lui mi ha interrotto dicendomi   ”Ah! Sei un mental coach.Fico!” Reazione mai verificatasi quando ho come interlocutore ho mie amici generation X.

Alcuni fattori sembrano influenzare la conoscenza del coaching:

  • luogo di residenza
  • stato occupazionale

Vivere nelle aree metropolitane o in contesti urbani aumenta del 10% la percentuale di consapevolezza rispetto alle aree rurali o con minore densità di popolazione. Essere attivi nel mercato occupazionale fa crescere del 28% la percentuale di conoscenza. Sembra confermarsi che sia il contesto professionale ancora a fare da traino. Non si osserva, invece un gender gap. La percentuale di uomini e donne che conoscono il coaching è la stessa (73%)

Un dato sembra indicare che, il mondo del coaching professionale (coach, associazioni, scuole), non abbia ancora vinto la sfida di creare una cultura del coaching consolidata, che trasmetta una chiara consapevolezza delle peculiarità di questa professione senza confonderla con altri approcci professionali. Emerge, infatti, che solo il 25% degli intervistati, a cui veniva chiesto di selezionare un elenco di definizioni, ha selezionato la definizione di coaching, a fronte di un 30% che ha indicato una definizione di mentoring. In base alla mia esperienza, questo dato può essere collegato al fatto che all’interno di molte organizzazioni aziendali i concetti coaching e mentoring vengano ancora sovrapposti quando si chiede a un manager di attivarsi per lo sviluppo dei propri collaboratori. Se nella funzione Risorse Umane la distinzione tra i due approcci è chiara, non sempre questo si estende alle figure manageriali che, ancora per molti aspetti sono legati ad un approccio di command e control che li porta ad agire più come mentor (ti dico come fare, ti consiglio cosa è meglio) che come coach alimentando la confusione.

Possedere una chiara comprensione delle finalità e metodologia del coaching, aumenta la probabilità di scegliere il supporto di un coach, come mostra il grafico.

Dal 2017 i mercati asiatici e latino americani sono i nuovi mercati emergenti del coaching e i dati confermano il trend di crescita che è superiore rispetto ai mercati consolidati (USA, Europa, Canada, UK, Nuova Zelanda). In essi si ritrovano le stesse tendenze viste sinora, ma con alcune specificità. Sono più numerosi coloro che conoscono il coaching e che hanno seguito un percorso con un coach.

Il 32% conosce il coaching a fronte del 25% nei mercati consolidati

Il 41% ha avuto esperienza di coaching rispetto al 30% nei mercati consolidati.

Questa differenza può essere attribuita a differenze nelle caratteristiche demografiche. Il campione dei mercati emergenti contiene una percentuale maggiore di giovani.

 Quali sono i temi e gli obiettivi su cui si  svolgono i percorsi di coaching?

Si riconfermano i risultati emersi nelle edizioni precedenti dello studio. Il coaching come risorsa per migliorare la propria efficacia personale negli ambiti relazionali, professionali e di well being.

Nelle prime posizioni troviamo:

  • Migliorare le capacità di comunicazione
  • L’equilibrio tra lavoro e vita privata
  • Aumentare l’autostima/fiducia in sé stessi

Il livello di soddisfazione dei clienti continua ad essere elevato, testimoniando l’efficacia dei percorsi verso gli obiettivi di miglioramento scelti.
Alla domanda se avrebbero consigliato percorsi business e/o life coaching professionale a colleghi, amici e/o familiari, su una scala da 0 (per niente) a 10 (molto probabile), il 45% di coloro che sono stati molto soddisfatti della propria esperienza di coaching ha dato il punteggio più alto possibile e un 34% che ha dato punteggi di otto o nove.

Per il 78% degli intervistati è importante che il coach sia in possesso di una certificazione/credenziale che ne garantisca la professionalità, infatti nel 65% di coloro che hanno lo hanno sperimentato, il coach possedeva una certificazione/credenziale da un’organizzazione di appartenenza.

Tra coloro che pur conoscendo il coaching, dichiarano che non pensano di utilizzarlo, la motivazione più frequente è che ritengono che il coaching sia troppo costoso.
Ad esso si aggiunge anche un fattore generazionale. Infatti, tra coloro che non lo considererebbero, troviamo i gruppi Baby Boomer e Greatest Generation che affermano di non aver bisogno di coaching e/o di essere troppo vecchi per usufruirne.
Nei gruppi Millennial e Generation X, invece, il costo del coaching e in non poterselo permettere sono i motivi più frequente.
Nella fascia di età più giovane, la Generazione Z, gli intervistati hanno spesso affermato di essere troppo occupati per un percorso coaching, inoltre, quasi la metà degli intervistati della Generazione Z (48%) ha dichiarato di non sentirne il bisogno.

Qual è la situazione in Italia? 

Si riconferma la tendenza a riprodurre le dinamiche osservate nel resto del mondo con alcune peculiarità. È in aumento il numero di coloro che conoscono il coaching, anche se la percentuale di chi non lo conosce è un po’ più alta (34%) rispetto al 24% del resto del mondo.Inoltre, rispetto al 2017 si registra una diminuzione del 6% di coloro che sono stati seguiti da un coach. Le tematiche per cui si chiede coaching rispecchiano i dati internazionali, mentre emerge una differenza riguardo a chi paga le esperienze di coaching avute. In Italia il 52% dei percorsi è pagato da qualcun altro, mentre nel resto del mondo il 60% di chi si è rivolto ad un coach lo ha pagato di tasca propria.   

Le informazioni fornite dal ICF Global Consumer Awareness Study 2022 possono condurre ad alcune considerazione generali e a suscitare alcune domande di riflessione sul futuro del coaching.

  • La consapevolezza di questa professione, relativamente recente, sta continuando a diffondersi, grazie anche alle nuove generazioni presenti nel mondo del lavoro, portatrici di esigenze e mindset congeniali al coaching.
  • È ancora l’ambito professionale il luogo di conoscenza e sperimentazione del coaching. Le prime esperienze sono promosse dall’azienda in cui si opera mediante il coinvolgimento in percorsi individuali/team, o con la formazione alle coaching skills da usare nei confronti dei collaboratori. Questa considerazione mi porta alla domanda, come il coaching cambierà in relazione ai clienti appartenenti alle nuove generazioni? I loro valori, atteggiamenti, esigenze sono diversi rispetto alle generation X e Baby boomers con cui il coaching si è evoluto.
  • Tra coloro che dichiarano di non voler usufruire del coaching le motivazioni principali si riferiscono al prezzo percepito elevato, al considerarlo una risorsa da non potersi permettere e alla scarsa consapevolezza dei sui benefici.

Mi chiedo se, a questo punto, possa essere utile una “popolarizzazione” del coaching per incrementarne ancor di più la diffusione. La domanda di coaching proviene ancora, ed in particolare in Italia, da un target “elitario” pensiamo ai ruoli manageriali, executive, professionisti, politici, atleti professionisti.

In che modo le nuove tecnologie e le politiche aziendali sempre più orientate al benessere del dipendente, contribuiranno a rendere più “popolare” il coaching?

La realtà contemporanea in continua accelerazione ed evoluzione sembra preparare interessanti e imminenti cambiamenti per la nostra professione.

Michela AlunniMichela Alunni

Director School of Coaching & Mentoring