Lo sport viene utilizzato molto spesso come fonte di ispirazione o come metafora per la vita aziendale o per alcuni dei suoi aspetti. È frequente sentire parlare di squadra che gioca la stessa partita, di team che potrebbero essere delle Ferrari, di nuovo campionato, etc. Allenatori come Velasco o Mourinho vengono pagati a peso d’oro per intervenire alle convention aziendali e spesso i team building vengono organizzati all’interno delle strutture sportive e sotto la guida di atleti o allenatori sportivi.

Eppure, vivendo l’ambiente aziendale può sorgere il sospetto che solo alcuni degli spunti che lo sport potrebbe fornire all’azienda vengono davvero colti. Qualche esempio: Velasco ha reso famosa la faccenda degli alzatori che si lamentano degli schiacciatori e viceversa richiamando il concetto di acquisizione di responsabilità. Ancor più spesso si sente parlare del potenziale dei team e del gioco di squadra mai sufficientemente compreso e sfruttato.

Esistono però molti altri aspetti, altrettanto importanti che meritano di essere presi in considerazione.   In queste righe ne prenderò in considerazione uno in particolare. Ed è proprio l’allenamento. Parto dalla considerazione che gli atleti si allenano per un percentuale molto elevata del proprio tempo, in alcuni casi questa percentuale sfiora il 99%. Pensate ad un velocista che si allena a lungo e duramente per una gara che durerà meno di 10 secondi. Questo permette agli atleti di prepararsi a fondo sia dal punto di vista fisco che da quello tecnico che da quello piscologico / mentale. Senza l’ansia e le costrizioni spazio-temporali proprie della competizione vera e propria. Ciò permette non solo di fare esercizio ed acquisire competenze, rendendole, almeno in parte, inconsce, di raffinare il gesto e potenziare l’atleta dal punto di vista fisico. Ma anche di valutare, misurare, studiare approfonditamente i video che costituiscono potenti strumenti di feedback, confrontarsi ed affrontare paure, ambizioni, vincoli e risorse.

In azienda di contro si è sempre in partita. Non c’è mai tempo a sufficienza per fermarsi ad analizzare a fondo una prestazione e ciò che essa potrebbe insegnare, a prescindere dall’esito ottenuto. Spesso non si riescono ad individuare contesti in cui poter sperimentare senza rischi eccessivi e ciò limita la delega ed il conseguente sviluppo dei talenti.

Dunque, cosa può imparare l’azienda dallo sport?

Non proponiamo certo di fermare il lavoro per allenarsi ma di accedere ad una mentalità in cui l’apprendimento e lo sviluppo delle persone siano focus altrettanto importanti della produttività. In altri termini: se è vero che in azienda si è sempre “in partita”, allora impariamo ad utilizzare le partite stesse come momento di allenamento, crescita, apprendimento, sviluppo.

Come?

Ripeto: innanzitutto dando davvero importanza e dignità a questi aspetti. Più praticamente: utilizzando in modo consistente e corretto il feedback e gli altri strumenti mirati all’implementazione dei piani d’azione e di sviluppo. Rivalutiamo lo spogliatoio come momento strategico per giocare meglio il secondo tempo. Pensiamo alle performance non solo in quanto processi che portano ad un risultato di produzione ma anche a momenti di aumento di consapevolezza e punti di partenza per ulteriori miglioramenti. Meno lodi, meno biasimi, più feedback.

In questo processo il manager diventa lui stesso, sempre di più, il vero allenatore del suo team.

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Bruno Benouski
Executive Coach
Founder Fedro Training & Coaching

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